Marco Antonio de Dominis - Tarocchi Dominis

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Marco Antonio de Dominis

In Arba felix natus sum, anno Domini MDLX.
Ho cominciato i miei studi presso i Gesuiti, "Ad maiorem Dei gloriam", al Collegio Illirico di Loreto; ho proseguito con entusiasmo a Verona e progredito all'Università di Padova. Ho insegnato lettere a Verona, matematica a Padova, retorica e filosofia a Brescia dove sono stato
ordinato sacerdote nel 1592.
Per soddisfare la mia curiosità e la volontà di sapere non ho mai smesso di studiare e di cercare.
Ho sempre pensato e creduto che con la buona volontà / tutti gli uomini potessero vivere in armonia con i santi precetti del cristianesimo / si potesse rendere la vita di tutti gli uomini conforme ai santi precetti del cristianesimo.
Aspiravo all'eredità spirituale e sociale dello zio Antonio, vescovo di Segna, antica fortezza templare, morto nel 1596 durante la battaglia di Clissa in difesa delle terre cristiane contro i turchi.
Quando nel 1221 Spalato, Traù e Clissa avevano perso l'influenza templare avevano sottoscritto un accordo di mutuo soccorso con Sebenico e Arbe.
La nostra devota famiglia contava vescovi nelle cattedre di Arbe, Segna, Traù e Zara e i primi già dal 1250.
Sua Serenità, Altezza Imperiale Rodolfo II,  ha patrocinato la mia elezione a vescovo di Segna, e a Praga mi ha intrattenuto con magnanima grazia sulle sue esperienze alchimistiche e scientifiche.
La mia richiesta di poter uscire dalla Compagnia di Gesù per motivi di incompatibilità fra la stretta osservanza delle regole ecclesiastiche imposte dall' Ordine e le mie attività politiche e scientifiche è stata accolta il 14 giugno 1597.
Ho cercato con zelo di instaurare la pace tra Venezia e gli Uscocchi; non ho avuto successo a causa dell' arroganza del Commissario imperiale.
Caduto in disgrazia a Segna,  mia diocesi di predilezione, Sua Santità Clemente VIII mi nominò, non senza intoppi, difficoltà e meschine dispute, Arcivescovo di Spalato. Correva l'anno del Signore 1602.
I miei ideali e i miei propositi si scontrarono con gli interessi dell' Impero, della Repubblica di Venezia e, soprattutto, del clero di Roma.
Una volta lasciati gli amati studi e l'onorevole insegnamento, scoprii a mie spese i giochi egoistici del potere e gli interessi materiali prioritari sul benessere delle anime.
Ho cercato di mettere un po' di ordine nelle mie diocesi,  ma Roma mi è stata contraria; anche per Roma la priorità non è la salute delle anime, ma quella della borsa. E' consuetudine umana attribuire agli altri le proprie debolezze e per questa ragione credo di essere stato accusato di avidità e ingordigia quando ho cercato di difendere dai furti perpetrati dagli abusi di potere ciò che necessitava a me e ai miei diocesani per una vita decorosa.
In seguito alle mie convinzioni, ho preso le difese di Venezia contro le pretese di Paolo V. Questo ha peggiorato la mia reputazione; nuove calunnie sono state divulgate al mio riguardo.
Ho cercato di presiedere la mia diocesi secondo i buoni precetti del Concilio di Trento, di organizzare con saggezza il territorio e di ridurre gli abusi dei canonici,  interessati solo alle rendite e normalmente assenti. Anche in questo caso Roma e Venezia hanno disapprovato. Succede che nella Chiesa si predichi in un senso e si agisca in un altro.
In questo contesto è nato nel mio spirito il desiderio di un cristianesimo meno autoritario e gerarchico,  e la necessità di scrivere un'analisi critica delle debolezze e degli abusi della Chiesa Cattolica.
Negli archivi di famiglia custoditi dal cugino Cristoforo ho potuto constatare che già dal  XIII secolo i Dominis avevano stretti rapporti con i cavalieri del Tempio che, come è noto, furono
vittime di un clamoroso caso di false accuse.
Nel 1616, sulle tracce di alcune ricerche storiche, sono partito per la Gran Bretagna confidando un'esistenza migliore.
A Roma e Venezia non hanno perduto tempo; già ai primi di novembre la Congregazione dell'indice aveva condannato come eretici, erronei e scismatici il non ancora scritto "De republica ecclesiastica" e il manifesto "Causae profectionis suae ex Italia", dove, in tutta sincerità, constatavo che la Chiesa sotto il Pontefice era solo una repubblica secolare e dove proclamavo la volontà di promuovere l'unione di tutte le Chiese di Cristo.
Ho approfittato dell' accogliente atmosfera londinese per scrivere il più possibile, per ampliare e rafforzare le mie relazioni cercando alleati.
Gli scritti restano e la penna può essere più efficace della spada.
Nell'autunno 1617 ho pubblicato, con dedica a Giacomo I, i primi quattro libri del "De Republica ecclesiastica", che trattano della forma della repubblica ecclesiastica, delle diverse funzioni del clero, della gerarchia dei vescovi e delle prerogative della Chiesa di Roma, con il netto rifiuto di ogni supremazia del Pontefice e dei privilegi del Collegio cardinalizio. Nel 1618 un anonimo compendio a carattere popolare, dal titolo "Scogli del christiano naufragio", che mi è stato
attribuito, sosteneva le mie tesi ed è stato tradotto in molte lingue.
Nei primi mesi del 1619 mi sono dedicato alla stampa dell' "Historia del concilio tridentino" di fra Paolo Sarpi. Il sottotitolo, la dedica e la prefazione che ho redatto hanno scontentato e irritato il Sarpi che in colloquio privato mi aveva confessato che questo Concilio aveva avuto effetti opposti a quelli auspicati; aveva causato discordie inconciliabili e aveva esaltato ancor più l'infondata autorità del Papa e della Curia Romana.
Agli inizi del 1620 sono riuscito a pubblicare il secondo volume con i libri quinto e sesto del "De Republica ecclesiastica", uno dedicato al potere spirituale della Chiesa e agli unici due sacramenti tradizionali, il battesimo e l'eucarestia; l'altro alla potestà civile e ai suoi rapporti con il potere ecclesiastico.
In Europa, ma anche altrove, per esempio in Egitto, tutti discutevano i miei testi; qualcuno li approvava, altri invece li detestavano accusandomi con veemenza di eresia. La gelosia si esprimeva con ogni mezzo, ogni pretesto era buono per denigrarmi.
Come sovente accade, gli alleati più onesti e validi che ho incontrato agivano nell'ombra, nella clandestinità; io ero già pubblicamente esposto e perciò sono stato incaricato di cercare negli archivi documenti segreti come prova delle nostre idee e a sostegno delle nostre convinzioni. Il compito si presentava delicato e difficile ed esigeva importanti somme di denaro per poter aprire porte chiuse, gelosamente protette, volutamente dimenticate.
Nel nome dei cavalieri di Cristo ho sempre operato per una riforma della Chiesa di Roma e una pacificazione e unione di tutte le Chiese cristiane, ma le mie parole sono state distorte. Verso la fine del 1621, a Londra, i calvinisti moltiplicarono le loro accuse e voci malevole messe in
circolazione mi attribuirono, falsamente, il progetto di un ritorno di Giacomo I al cattolicesimo.
I miei nemici erano molti, le mie doti diplomatiche limitate e poiché nemmeno le confessioni scritte sono riuscite a modificare la situazione, il re è stato costretto ad abbandonarmi. Era giunto il momento di trasformare in fausti, gli infausti avvenimenti. Era veramente giunto il momento di scoprire nel cuore di Roma i documenti necessari al sostegno delle mie teorie.
S.S. il Papa Gregorio XV si mostrò disposto ad accogliermi a Roma dove sono arrivato il 5 novembre 1622; mi è stata assegnata una buona rendita e sono stato circondato da servitori che, però, al di là delle apparenze, erano subdole spie. Nonostante ciò ho potuto dedicarmi alle mie ricerche e ben presto, negli archivi di Castel S. Angelo, ho cominciato a trovare i documenti che cercavo. Mi hanno obbligato a scrivere ritrattazioni e confessioni che non corrispondevano alla verità, ma questo non aveva importanza, la mia missione segreta era prioritaria.
Nel luglio dell'anno scorso è morto l'illuminato, magnanimo e amico Papa Gregorio; la fazione ostile comandata dal cardinale Barberini non ha perduto tempo, mi ha immediatamente privato di ogni libertà ed ha aperto un nuovo processo.
Nel mio ritratto inciso a Londra ho fatto inserire un mappamondo, quale si può trovare in Portogallo in luoghi privilegiati, con il motto "Non nobis” ("Non per noi, o Signore, non per noi, ma per la gloria del Tuo nome) “Non nobis Domine, non nobis, sed Nomini Tuo da Gloriam”.
 
La scorsa settimana ho scoperto la pergamena redatta a Chinon che contiene l'assoluzione concessa dal Papa Clemente V a Jaques de Moley e ai maggiori dignitari del tempio, all'epoca imprigionati sotto ignobili accuse. Il documento dimostra che Clemente V non considerava eretici i Templari.
Il mio idealismo ha reso difficile la mia vita secolare. Sento le forze lasciare poco a poco il mio corpo, ma la mia anima è in pace; mi duole solo non essere riuscito a divulgare, a sostegno delle mie teorie, la pergamena di Chinon. Le spie sono intervenute con fulminea rapidità.
Mi sono confessato; muoio in pace perché sono stato un uomo di buona volontà.
Sano di mente, fedele in Cristo.
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